Nel 1967 Bion pubblica Second Thoughts, testo geniale ma anche ambiguo e complesso. Si tratta di una raccolta di articoli psicoanalitici, incentrati su casi clinici, già apparsi negli anni cinquanta: l’autore non vi apporta nessuna modifica, ma aggiunge, in fondo al volume, una lunga riflessione chiamata “Commentari”, in cui esprime cambiamenti di grande interesse avvenuti nel suo pensiero. A cambiare non è tanto l’interpretazione dei casi clinici, quanto l’attitudine mentale che sottende l’interpretazione: Bion non considera più (diversamente da allora) i suoi resoconti come trascrizione fedele dei fatti accaduti, ma come trascrizione, espressa in parole, delle immagini sensoriali dell’analista in rapporto ai processi mentali del paziente. I resoconti clinici, dunque, dovrebbero essere riconsiderati come formulazioni verbali di immagini sensoriali costruite per comunicare in una data forma (sensibile) qualcosa che venne in origine probabilmente comunicato in un’altra. Ciò in virtù della sua convinzione che la memoria (su cui i resoconti clinici necessariamente si basano) nasce dall’esperienza sensoriale, mentre la psicoanalisi si occupa essenzialmente di esperienze non sensoriali. In ogni resoconto di seduta, quindi, del tutto indipendentemente dalla tempestività di trascrizione, la memoria dovrebbe secondo Bion essere considerata solo come comunicazione figurativa di un’esperienza emotiva.
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