La memoria della Shoah ha reso Israele indifferente alle sofferenze altrui. Il paese nella sua instabilità è ormai simile alla Germania degli anni Trenta. Il sogno e l’ideologia sionista hanno fallito. È il momento di abbandonare l’antica mentalità del ghetto accerchiato e di rivalutare la figura universalistica dell’ebreo della diaspora.
Sono tesi molto provocatorie, che hanno suscitato un enorme dibattito e innumerevoli polemiche a partire dalla pubblicazione di Sconfiggere Hitler in Israele, nel 2007.
L’autore, notissima figura pubblica israeliana, ex presidente del Parlamento, figlio di un uomo politico di grande influenza, ha avviato una critica radicale ai fondamenti attuali dello Stato di Israele, alla sua identità collettiva definita, sessanta anni dopo Auschwitz, quasi esclusivamente in rapporto all’Olocausto. Inoltre, criticando la svolta nazionalistica ed etnica presa dal paese nel corso degli ultimi decenni, Burg si oppone alle nuove «teorie razziali ebree» degli estremisti religiosi e stigmatizza l’uso della forza militare.
Sconfiggere Hitler è però anche un libro di ricordi in cui l’emozione e l’affetto frenano l’indignazione politica e civile. Burg evoca la sua infanzia nella «piccola Germania» di Gerusalemme, dialoga con la madre e, dopo la sua morte, con la figura tutelare del padre, Yossef Burg, dirigente del partito religioso nazionale e ministro nel corso di diversi decenni.
In questo saggio denso di riferimenti alla Bibbia e ai grandi testi delll’ebraismo, Burg lascia parlare la sua tristezza e la sua inquietudine, ma riesce a immaginare e a indicare anche un nuovo programma per Israele nel consesso globale delle nazioni. Un vero messaggio di speranza in cui si materializza il sogno di un ritorno alla serenità e ai valori umanistici e universalistici dell’ebraismo.
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