Gli industriali italiani concorsero largamente a determinare il successo del fascismo: tuttavia un’ampia documentazione attesta che anche fra loro si manifestarono numerose diffidenze nei confronti di quel movimento, e che, in sostanza, l’atteggiamento dei dirigenti industriali non risultò molto diverso da quello della maggior parte dei dirigenti politici borghesi. È noto, difatti, come da Giovanni Giolitti ad Antonio Salandra, da Luigi Albertini a Benedetto Croce, fosse convinzione diffusa che il fascismo, opportunamente incanalato, potesse contribuire positivamente al rinnovamento della vita nazionale: anche gli industriali, per un certo tempo, condivisero con i politici il disegno di incanalare e «strumentalizzare» il fascismo. Fu solamente in un secondo momento, dopo che la vanità di quel disegno venne dimostrata dai fatti, che le differenze tra quei politici e gli imprenditori si approfondirono; gli uni uscirono di scena, mentre gli altri, che dissero di se stessi di essere «ministeriali per definizione», aderirono al regime mussoliniano