Quando in Francia, nel dicembre 1937, uscì Bagatelles pour un massacre, Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) era ormai un scrittore di successo e un maestro indiscusso della letteratura contemporanea. Con i romanzi Voyage au bout de la nuit (1932) e Mort à crédit (1936) si era guadagnato sia i favori del pubblico che quelli della critica più attenta, e aveva davanti a sé la prospettiva di una brillante quanto prevedibile carriera letteraria. Ma con la pubblicazione di Bagatelles pour un massacre (che pure ottenne largo consenso tra i lettori) e con lo scandalo che ne segui, Céline compromise volontariamente quella carriera e scelse la strada dell’emarginazione dalla cultura ufficiale, che scatenò contro di lui attacchi violenti (gli costarono, tra l’altro, il posto di medico al dispensario di Clichy) e l’accusa di antisemitismo. Che cosa spinse Céline a scrivere Bagatelles pour un massacre, «pamphlet» ancor oggi innominabile e mai più ristampato in Francia nel dopoguerra? Ricorrere, come è stato fatto, a motivazione patologiche, psicologistiche, o puramente estetiche per spiegare questo infernale atto di accusa e di autoaccusa, significa ridurre l’importanza del libro, che trae origine da ragioni più complesse. «Nel Voyage e in Mort à crédit — scrive Ugo Leonzio nella prefazione alla presente edizione, la prima integrale per l’Italia — l’inferno piccolo borghese, con i suoi riti e le sue disperazioni, è il bersaglio che Céline si è proposto. Ma è proprio il successo clamoroso di questi due libri che conduce Celine alla definizione del suo stato di insufficienza: il successo gli garantisce il ruolo di scrittore ma esaurisce l’epoca delle confessioni: l’inferno ha ricevuto i suoi contorni precisi e si è ammutolito. […] Il successo ha esaurito il suo mondo narrativo ma non il trauma che lo ha portato a scrivere e che, ora, è privo di nutrimento». Per Céline, che non è scrittore di invenzione, l’uscita da questa “impasse” può avvenire solo privilegiando come argumenta di scrittura l’attualità più oggetiva e scottante. Per questo motivo in Bagatelles pour un massacre, che crudeltà e paradosso apparentano alla Modesta proposta di Swift, il bersaglio scelto dallo scrittore è l’ebreo, non in quanto tale, ma i quanto prototipo, nel suo tempo e nella sua società, del potere. Ma se è fuorviante leggere questo libro come opera puramente letteraria, altrettanto errato sarebbe considerarlo come contributo a un progetto politico: l’odio da cui nasce e da cui è alimentato Bagatelles pour un massacre si configura, a ben vedere, come la forma più perversa del dolore umano, cioè come la forma più profonda e incomunicabile dell’amore.