Dai boulevard ai caffè del Palais-Royal, da un ballo popolare a una società musicale, sino ai cabaret più malfamati delle Halles, ultimo rifugio, verso l’alba, dei flâneurs e dei senzatetto: Le notti d’ottobre si apre con una partenza mancata che si trasforma in esplorazione del centro di Parigi. È la passeggiata familiare a tutti i nottambuli del tempo che, quando si spengono le luci dei quartieri eleganti, non disdegnano la saporosa zuppa di cipolle servita nella pittoresca cornice dei mercati generali. Guida infallibile di Nerval su questo terreno è il gusto affinatissimo per un’«archeologia dell’irrilevante» che, prima di rivivere in Aragon, Queneau e Perec, gli ispira qui pagine di grande bellezza. Il dato realistico subisce tuttavia una costante metamorfosi che reca l’impronta inconfondibile del suo mondo interiore, dei miti e degli archetipi che popolano i suoi sogni, della sua visione alterata del reale – carattere precipuo della seconda parte della narrazione, dedicata a un breve vagabondaggio provinciale. Il tratto che, forse, su tutti si impone, è però quello offerto da un’acuta autoparodia che sempre salva Nerval dalle tentazioni del titanismo narcisista e che è il volto ascetico dell’immaginazione, capace di correggere le proprie ricorrenti tentazioni di onnipotenza.