Il comunismo conobbe una formidabile espansione nella prima metà del secolo scorso e subí un tracollo vertiginoso nella seconda metà. La nascita dello Stato sovietico e del movimento comunista ebbe un enorme impatto internazionale tramite la promessa o la minaccia di una rivoluzione mondiale. Quello scenario sembrò ancora piú incombente all’indomani della Seconda guerra mondiale. L’Urss si pose alla guida di un «campo socialista» in Europa, costituendo cosí il polo antagonista all’Occidente nella guerra fredda, mentre la Cina comunista proiettava la rivoluzione nel mondo postcoloniale. Tuttavia, l’apice del progetto globale comunista celava le premesse del declino. Meno monolitico di quanto non apparisse in Occidente, il movimento iniziò a disgregarsi con la rottura tra Mosca e Pechino. Fu il primo segnale di una crisi di legittimazione destinata a farsi irreversibile. Il comunismo internazionale perse credibilità come soggetto della politica mondiale. Nel contempo, il dominio sovietico nell’Europa orientale mostrò il suo volto brutale e diventò definitivamente un fattore di discredito. L’Urss venne messa ai margini dalla globalizzazione occidentale, malgrado la sua dimensione di superpotenza. Fino a che le riforme di Gorbacëv, nel vano tentativo di rilanciare un nuovo universalismo, portarono al collasso.