Questo testo riguarda la posizione e la storia del «gruppo operaio» e del suo leader più noto, Gabriel Mjasnikov. Mentre, tra il ’17 e il ’23, a poco a poco la « rivoluzione» si trova sempre più isolata, il «gruppo operaio» confuta la tesi che vede l’isolamento della rivoluzione come esclusivo prodotto di elementi esterni: guerra civile, fame, arretratezza. Il tentativo di rivoluzione negli Urali e il «manifesto» del gruppo contestano sia una intelligenza economica che una qualità politica alla genesi stessa del bolscevismo, ridando della rivoluzione russa una lettura « da sinistra», che forse più semplicemente è una lettura che mantiene viva l’istanza di liberazione di molti che vi aderiscono. L’interesse particolare di questa pubblicazione risiede nella dialettica tra il tentativo della rivoluzione negli Urali e lo svolgersi del processo rivoluzionario bolscevico nella Russia. Mjasnikov è come una cartina tornasole della qualità politica del processo bolscevico. La rivoluzione bolscevica ha successo e condanna Mjasnikov e il gruppo operaio alla sconfitta. Ma cosa ha successo e cosa viene sconfitto? Si tratta di due linee divergenti: di due strategie? Una più decisa dittatura del proletariato tramite il partito, da un lato, e una più imprecisa proposta consigliarista, dall’altro? Senza dubbio rispetto alle formulazioni teorico-pratiche di Lenin, Mjasnikov e il gruppo operaio sono imprecisi, forse utopisti. Ma, e qui risiede il fenomeno che fa da cartina tornasole alla qualità politica del processo bolscevico, dall’esperienza del gruppo di Mjasnikov emerge una qualità di vita, una esperienza di unità che non può non iniziare in situazioni particolari e ancora contraddittorie.