“Parlando del totalitarismo, si è soliti porre l’accento su ciò che accomuna stalinismo e nazismo: partito unico, ideologia unica, volontà di annientare la società civile, esercizio del potere con il terrore. Non si è altrettanto abituati a sottolineare ciò che differenzia il comuniSmo dai regimi fascisti e da quelli democratici: l’utopia di un potere politico effettivamente esercitato dalle classi popolari, dai gruppi più vasti della società, dai gruppi meno dotati di risorse materiali e culturali. Un’utopia, certo (e si vedrà perché), ma un’utopia agognata, parzialmente realizzata e al tempo stesso disattesa. In ogni caso un’utopia che, in forme diverse, nel XXI secolo potrebbe essere uno degli orizzonti della storia politica.” È possibile, a più di dieci anni dalla caduta del muro di Berlino, parlare di comuniSmo secondo una prospettiva che non sia più influenzata dai conflitti ideologici? Questa è la sfida proposta dagli autori di questo libro — un équipe di ventitré ricercatori appartenenti a vari paesi – nell’analizzare un fenomeno che si è declinato in forme politiche talmente diverse da non poter essere ricondotte a un’unica pratica. Il loro principale obiettivo polemico è rappresentato dal Libro nero, che riduceva il comuniSmo a un’impresa essenzialmente criminale. Il secolo dei comuniSmi al contrario, adotta un metodo improntato all’oggettività scientifica e alla varietà dei modelli di ricerca: storico, sociologico, antropologico, politologico. Un approccio “plurale”, quindi, per ripercorrere una storia estremamente complessa e ricca di contraddizioni. Dopo una parte introduttiva dedicata all’analisi critica delle correnti storiografiche che si sono misurate con il comuniSmo, il volume si addentra in un bilancio della parabola del socialismo reale, scandendola in fasi: l’affermazione del comuniSmo dal 1914 al 1944, soprattutto in Unione Sovietica; il comuniSmo come sistema (grande attenzione viene rivolta, oltre che all’Europa dell’Est, anche alla Cina, al Sudest asiatico e al mondo arabo); e infine la crisi dei comuniSmi, che ruota attorno a tre date emblematiche: il 1956, il 1968 e il 1989. Molto interessante è poi il tentativo di delineare le varie incarnazioni dell’“uomo comunista”, dal contadino all’intellettuale, dal funzionario di partito al partigiano al sindacalista. In chiusura, gli autori affrontano alcune questioni ancora aperte e scottanti, come quella del rapporto tra comuniSmo e violenza e quella della politicizzazione della classe operaia. Attingendo ampiamente a materiali d’archivio rimasti a lungo inaccessibili, Il secolo dei comuniSmi prende in considerazione diverse realtà e culture, tra cui quella italiana, ed esamina le strutture — da quelle internazionali ai partiti nazionali – attraverso cui il comuniSmo si è organizzato. Ne risulta un quadro articolato e ampio, un’analisi lucida di un fenomeno che ha segnato profondamente la storia politica del “secolo breve”.