La Kolyma è una desolata regione di paludi e ghiacci all’estremo limite nordorientale della Siberia. L’estate dura poco più di un mese; il resto è inverno, caligine, gelo fino a sessanta sotto zero. Laggiù, dalla fine degli anni Venti, alcuni milioni di persone vennero deportate per volontà di Stalin e sfruttate, in condizioni ambientali disumane, a fini produttivi: scavi nei giacimenti d’oro, costruzione di strade, disboscamenti e raccolta di legname… Šalamov arrivò in quel «crematorio bianco» nel 1937, e vi rimase fino al 1953. Nel 1954, subito dopo il ritorno a Mosca, cominciò a scrivere questi racconti, ovvero a «vivere non per raccontare ma per ricordare». L’arrivo sull’«isola Kolyma», la casistica dei vari tipi di carcerieri, i luoghi e le condizioni del lavoro forzato, la natura ostile e così carica di significati simbolici sono le linee portanti di una creazione poetica che è anche analisi di uno spietato fenomeno antropologico: «con quale facilità l’uomo si dimentica di essere un uomo» e, se posto in condizioni estreme, rinuncia alla sottile pellicola della civiltà.
bello
Bello sarebbe essere aggiunti. Grazie
appena riletto Pasternak; mi è venuta fame di letture del/sul periodo
Ho per sbaglio cancellato la condivisione, un nuovo invito grazie
Vorrei ricevere un invito, grazie
vorrei essere aggiunto, grazie
Salve, vorrei essere aggiunto così da poter legere questo bel libro
Buonasera a tutti. Vorrei essere aggiunto anch’io, se possibile. Merci beaucoup 🙂
Grazie per il vostro lavoro. Se possibile, vorrei essere aggiunto