Scritta a Parigi, in una settimana di passione — o, come doveva dire Evtušenko quindici giorni più tardi, a Mosca, “ in un momento di sventatezza ” (che, a pensarci bene e conoscendo il tipo, ha tutta l’aria d’uno sberleffo mica male, piuttosto che d’un atto di sottomissione) — col fervore di chi mette le carte in tavola e vuol dire tutto in un colpo solo, questa Autobiografia precoce è un documento veramente straordinario di quella che è stata la Russia negli ultimi vent’anni, vista con gli occhi di un ragazzo che impara sui marciapiedi di una delle più grandi città del mondo a farsi largo nella vita, a colpi di pugni e di verità. Ed è anche qualcosa di ben diverso dalle sofisticate Memorie di Ehrenburg o dell’elegiacoSaggio autobiografico di Pasternak: qui la scoperta della cultura e la scoperta del mondo sono fatte nello stesso momento, in drammatica contemporaneità: il fascino degli ideali rivoluzionari e il ricordo confuso del nonno, le parole di Lenin e quelle della madre, la dissoluzione dell’unità familiare e il crollo del regime autoritario, le gazzarre di strada e la disperata volontà di sopravvivenza degli artisti non conformisti, l’amore e l’ebbrezza della lotta ideologica, tutto avviene in modo mischiato e confuso; gli antisemiti vengono al cinema con noi, gli effetti della tirannide si sperimentano sulla carne, lo stalinismo è una cosa che si vede.