Aleksandr Kerenskij – Memorie

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I protagonisti dei giorni « che sconvolsero il mondo» — Lenin, Trozkij, Stalin — sono tutti morti : la sola eccezione è Aleksandr Kerenskij, oggi ottantaseienne. Quanti amano riesaminare i grandi eventi storici attraverso le testimonianze di chi li provocò e li visse possono trovare solo nelle Memorie di Kerenskij un’opera che dia, sulla drammatica rivoluzione del ’17, particolari sin qui inediti e interpretazioni, quand’anche di parte, approfondite e originali. Aleksandr Kerenskij fu, volta a volta, « un assassino » nel giudizio dei partigiani dello zar, un « traditore della rivoluzione » per i bolscevichi, un « militarista » per i soldati che disertavano le bandiere nell’ultima fase della guerra mondiale. Fu anche, nel tacitiano e rispettoso giudizio di Winston Churchill, « l’uomo che la storia ha trattato più duramente di ogni altro ». Lo avversarono da destra e da sinistra; dall’una parte e dall’altra frapposero alla sua azione tanti ostacoli che è lecito stupirsi non tanto del crollo del suo governo quanto del fatto, semmai, che esso abbia potuto reggersi per un certo tempo. Kerenskij non disconosce, anche se cerca di attenuarli, gli errori che commise. Ma le sue Memorie non sono soltanto un’autodifesa : contengono la documentazione di ciò che il « Governo rivoluzionario provvisorio » del 1917 riuscì, pur contro tanti ostacoli, a realizzare (« riforme a decine; in pochi mesi, più di quante ne attuarono coloro di cui avevo preso il posto, e quelli che lo presero dopo di me »); formulano accuse, non prive di acuto senso storico, e contro gli Stati che non lo aiutarono in tempo scambiandolo per un comunista, e contro i comunisti che lo credettero, forse in malafede, un alleato della borghesia (« Il Governo Provvisorio, » disse Lenin, « si compone di dieci aristocratici e di un ostaggio »). L’« ostaggio », a sua volta, dà ritratti inconsueti e giudizi non superficiali di Lenin come dello zar, di Rasputin e di Stalin, di Lloyd George e di Clemenceau.

Quando la destra militare « tradì » Kerenskij (lo fece perchè era convinta che « via Kerenskij dal potere, liquideremo i Soviet in tre settimane »), all’ancor giovane leader politico non restò che la strada avventurosa della fuga dalla Russia. Non gli fu mai offerta la possibilità di tornare. Egli lo chiese una sola volta, nel ’23, quando si offrì di consegnarsi prigioniero (glielo rifiutarono) purché Lenin scarcerasse un gruppo di vecchi compagni arrestati e torturati dalla ceca. Ma « se il mio corpo è in esilio da cinquant’anni », dice Kerenskij, « il mio spirito è sempre in Russia ».

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