Già con questo suo primo romanzo Hjalmar Söderberg suscitò scandalo, guadagnandosi la fama di scrittore cinico e in qualche modo sovversivo. A distanza di più di un secolo dalla pubblicazione, rileggendo queste pagine che restano tra le più belle della letteratura a cavallo del secolo, riesce però difficile credere che una storia di giovanili sviamenti – raccontati senza indulgere a facili moralismi, ma anche senz’ombra di compiacimento – potesse suscitare reazioni tanto violente. Non si fatica invece a pensare che l’accanimento dei critici fosse piuttosto sollecitato da un altro aspetto dell’opera, che ancora oggi provoca, se non scandalo, certo disagio e forse sgomento. Ed è l’acuta e netta percezione del grande vuoto che circonda l’uomo, della sua solitudine senza possibile redenzione di fronte all’esistenza e agli interrogativi che essa pone; come se fosse in viaggio, in una terra incognita, senza mappe e strumenti di orientamento, e neppure mete che valga la pena di raggiungere.