«Circa un mese fa di colpo mi sono sentito nello spirito giusto per fare filosofia. Ero assolutamente sicuro che non ne sarei mai più stato capace» scriveva Ludwig Wittgenstein a Norman Malcolm il 16 aprile 1951, pochi giorni prima di morire. Eppure, la passione filosofica non aveva mai smesso di accompagnarlo: lo testimonia in maniera eloquente questo volume, che attraverso un’ampia scelta della sua corrispondenza offre un vivido ritratto del filosofo, e permette insieme di ripercorrerne l’itinerario speculativo. Vi troveremo i tormenti del giovane Wittgenstein ancora indeciso se intraprendere la strada della filosofia; il senso di colpa per la sua condizione agiata e il tentativo di esorcizzarlo partendo per il fronte; l’irriverenza con cui si rivolge ad autorità come G.E. Moore o Bertrand Russell. Ma soprattutto le discussioni sulle teorie che avrebbero rivoluzionato la logica, affermandosi come tappe decisive di quel linguistic turn che ha caratterizzato l’avanguardia filosofica del secolo scorso; l’insoddisfazione per la teoria dei tipi di Russell, da cui nascerà la tesi dell’indefinibilità della forma logica che sta al centro del “Tractatus”. E ancora il volontario esilio dalla filosofia per ritirarsi a insegnare in sperdute scuole elementari della Bassa Austria, e la rinascita dell’interesse grazie alle discussioni con Frank Ramsey e Piero Sraffa; la preoccupazione per le sorti dei propri familiari nelle settimane successive all’Anschluss. E in questo intreccio di pensiero e vita vissuta, che ha come scenario principale il fecondo ambiente intellettuale di Cambridge, Wittgenstein si rivela forse più che altrove uno dei grandi del Novecento.