Giacomo Casanova, Cavaliere di Seingalt, giunto a cinquantatré anni, ormai stanco di avventure erotiche e di traffici politici, sente sempre più forte il bisogno di ritornare nella sua città, Venezia, da cui tanti anni prima era fuggito con la sua mirabolante evasione dai Piombi. Ma, proprio quando la meta è vicina, il destino gli fa incontrare la giovanissima Marcolina, non ancora ventenne eppure dotta studiosa di matematiche superiori e lucida illuminista. Questa donna, che lo guarda con una freddezza che Casanova mai prima aveva visto in uno sguardo femminile, lo costringe a gettarsi perdutamente in un intrigo rovinoso. E, proprio in quell’avventura, gli balena l’immagine di una felicità incomparabile, che vince di sorpresa la sua cinica sapienza: un’immagine che gli si mostra per negarsi poi subito e abbandonarlo, come un’ultima beffarda apparizione della vita. Arthur Schnitzler, il magistrale evocatore della Vienna leggera e crudele degli ultimi anni absburgici, rivela in questo breve romanzo, che è forse la sua opera più segreta e personale, tutta la sua chiaroveggenza psicologica – quella per cui Freud gli scrisse che temeva di incontrarlo in quanto riconosceva in lui il suo Doppio. Una trama maliziosa, che potrebbe apparire di sfuggita in un capitolo delle “Memorie” di Casanova, si dilata qui in un feroce scontro fra Amore e Morte, che viene a porre un sigillo sinistro su questa tappa della carriera di un libertino, ormai segnata dall’angoscia della fine. Come nell’”Andreas” di Hofmannsthal, il décor settecentesco, che Schnitzler ricostruisce con sovrana eleganza, accoglie in una luce d’autunno, nitida e sensuale, un teatro di maschere dietro cui si intravede un mondo di quasi insostenibile dolcezza e crudeltà, quale doveva apparire, in uno sguardo di congedo, al limpido occhio nichilistico dello Schnitzler maturo.