Acquistando per due dollari un libro, offertogli per strada da un giovane entusiasta un giorno del 1975, Paul Haggis ancora non sa che l’affiliazione casuale, e all’inizio piuttosto scettica, alla Chiesa di Scientology segnerà la sua carriera di regista, trasformandosi via via in un inferno personale e professionale. Quando, molti anni dopo, Haggis riuscirà finalmente a uscirne, racconterà tutto a Lawrence Wright, che in questa superba inchiesta racconta (per la prima volta) tutto a noi: le violenze, i ricatti, le estorsioni cui Scientology sottopone i suoi affiliati; le figure più grandi del vero, e per molti versi mostruose – David Miscavige, attuale guru della Chiesa, e Tom Cruise, suo principale testimonial –, che la tengono in vita; le grottesche procedure private (come le sedute di auditing, un improbabile incrocio fra la parodia di una seduta di analisi e quella di un colloquio aziendale) in cui si articola la lunga iniziazione dell’adepto, e le fantasmagoriche cerimonie pubbliche che celebrano i trionfi della setta più vasta mai apparsa sul pianeta. Ma dove Lawrence Wright scatena fino in fondo la sua straordinaria vena narrativa è nel ritratto dell’inventore di tutto questo, Ron Hubbard, un uomo impegnato fin dalla giovinezza a falsificare la sua stessa biografia, capace di vendere milioni di copie dei suoi romanzi di fantascienza, e naturalmente dei suoi manuali parareligiosi, e perfettamente a suo agio nella divisa di commodoro della flotta privata su cui Scientology, bandita per reati fiscali dal consesso delle nazioni civili, fu costretta per anni ad autosegregarsi. Ma soprattutto in grado di convincere centinaia di migliaia di seguaci che il nostro mondo è governato da un’occulta cricca di psichiatri malvagi, i quali «operano secondo metodi tratti direttamente dai manuali per terroristi»: e che l’unico modo per sconfiggerli è versare, a lui stesso e alla sua ristretta cerchia, donazioni sempre più consistenti.