Perché l’incantesimo sia spezzato, perché le mura della fortezza non crollino appena costruite, occorrerà murare vivo un essere amato, e toccherà alla moglie del capo dei muratori: così narra la ballata popolare che Márai mette in epigrafe a questo romanzo. E proprio Kömives, in ungherese muratore, si chiama il protagonista – e forse anche lui ha dovuto soffocare qualcosa di vivo perché la sua sobria, regolata esistenza di giudice integerrimo, marito esemplare, e strenuo censore di tutti quegli aspetti della vita moderna che minacciano di sovvertire l’ordine sociale, possa restare salda sulle sue fondamenta. Ma ciò che è stato murato e soffocato prima o poi riemerge. Accade, come per caso, allorché Kristóf Kömives si trova a dover sciogliere dal vincolo matrimoniale Imre Greiner, un medico che è stato suo compagno di scuola, e Anna Fazekas, che il giudice aveva incontrato qualche volta, molto tempo prima, all’epoca in cui lui era ancora un giovane praticante legale e lei una «ragazza da marito». Ma la sera che precede l’udienza Kömives, rincasando a tarda ora, trova ad aspettarlo Greiner, e da lui apprende che un evento atroce è sopravvenuto a rendere inutile la sentenza. Nel corso di un tormentato faccia a faccia che durerà fino alle prime luci dell’alba, Greiner racconterà a Kömives la sua storia con Anna – e soprattutto pretenderà da lui una risposta, prima che tutto sia finito. A sua volta, Kömives scoprirà le verità che i sogni della notte svelano e le luci del giorno non possono che occultare. Un triangolo amoroso tutto intessuto di passioni negate, di silenzi e di impossibili confessioni: questo il tema di Divorzio a Buda, che Márai scrisse pochi anni prima delle Braci e che del capolavoro a venire ha già tutta la magistrale, implacabile, bruciante esattezza.