Leo Perutz – Tempo di spettri

In quegli anni e in quei luoghi dove tutti avevano «paura perfino della loro ombra», quando la turbinosità spettrale degli eventi raggiunse l’apice, nella Russia dove i bolscevichi da poco erano al potere e dove tutti sospettavano di tutti, si avvia la catena inesorabile dei fatti raccontati in questo romanzo. All’interno di una generale caccia all’uomo, seguiamo la caccia di un singolo da parte di un singolo, una partita segreta, incalzante, ossessiva. Dalla Russia alla Turchia, alla Francia, all’Italia, a Vienna continua a rotolare l’invisibile «melina» di cui parla una canzone. E nessuno sa dove finirà. Intanto cadono vittime inconsapevoli sulla strada dell’inseguitore, che le guarda appena, perché fissa nella mente ha l’immagine della sua preda, «che attraversava la vita col frustino in mano, azzimato e sporco di sangue, l’assassino profumato…».
«Della parola “genio” si è abusato a lungo, sino a farle perdere senso e valore, altrimenti avrei definito questo libro “semplicemente geniale”» scrisse Ian Fleming a Perutz a proposito di Tempo di spettri. L’inventore di James Bond vi aveva subito riconosciuto la prova magistrale di un’arte del suspense spinta all’estremo. Ma c’era anche qualcosa di più: in questo romanzo, che si presenta come una pura, sinistra scansione di eventi, un metafisico fuoco fatuo li accompagna tutti, senza mai essere nominato, sfuggente e sovrano.
Tempo di spettri apparve per la prima volta a puntate nel 1928 su un giornale berlinese e fu subito accolto da uno strepitoso successo.

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