I versi che Adam Zagajewski ha scelto per l’ampia antologia che qui presentiamo riflettono la fase più alta e matura della sua produzione. Messo a confronto con interrogativi e dilemmi, con il mondo della natura e della storia, il poeta coglie tutte le contraddizioni della nostra condizione: «La sua è una tessitura in cui fiori, alberi e uomini convivono in un’unica scena. Ma questo mondo ricreato dall’arte non è un luogo di fuga, al contrario è in relazione con la cruda realtà di questo secolo» ha scritto Czesław Miłosz. E se nelle metropoli occidentali un’umanità priva di passioni paga il benessere con la noia, l’indifferenza e la solitudine, egli può catturare – grazie a un’illuminazione interiore che si traduce nel «fervore» dei versi – l’istante in cui l’esperienza del dolore si fonde con quella della bellezza e l’aura del divino si manifesta anche nella realtà più misera: «La pelle levigata degli oggetti / è tesa come la tenda di un circo. / … / Siamo come palpebre, dicono le cose, / sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità / e la luce, l’India e l’Europa. / E all’improvviso sono io a parlare: sapete, / cose, cos’è la sofferenza?…». Così, nella poesia di Zagajewski, l’invisibile si coniuga con il mondo concreto, e l’anima si fonde con le cose della terra, dando vita a quell’assoluto quotidiano che spiega il complesso intrecciarsi di destino individuale e universale.
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