Con “Fede e critica”, saggio inedito del 1955-1956, Guido Morselli volle innanzitutto spiegare a se stesso, ragionando con quella lucidità ben nota ai lettori dei suoi romanzi, un passaggio decisivo della sua vita, in cui si sentì ricondotto, dalla sua posizione di «uomo qualsiasi… senza alcuna particolarità pia o edificante» a quella di uomo religioso. Piuttosto che darci ancora una volta «il racconto, drammatico o più spesso patetico, di una conversione», illuminato perciò da un punto d’arrivo, Morselli ha voluto offrirci la sua vicenda «nella successione degli aspetti che le cose hanno mostrato via via che si presentavano». Perciò, al sorprendente manifestarsi di una ‘fede’ si accompagna qui a ogni passo la lama affilata della ‘critica’, una dura critica che vuole continuamente mettere «con le spalle al muro» le giustificazioni teologiche – innanzitutto per quanto riguarda il rapporto fra Dio e il male – e insieme mettere alla prova quell’ignoto personaggio che, all’interno del soggetto, dichiara appunto di credere. Nulla di apologetico, conciliativo o acquietante si troverà dunque in questo libro, che rivela l’altra parte, saggistica e speculativa, del narratore Morselli, ma una mobilissima e pulsante «fisiologia della vita religiosa», in forma di resoconto scritto da uno spirito disincantato sulla scoperta del mistero. Tutti i più grandi temi ed enigmi della religione cristiana vengono toccati in questo percorso: dalla carità al “Libro di Giobbe”, dall’esistenza del male alla preghiera, dalla Trinità al peccato originale. E su tutti questi punti il ‘dilettante’ Morselli parla con rigoroso acume ‘critico’, ma soprattutto con una straordinaria capacità di rendere concreto ciò che ciascuno di quei grandi temi veniva a rappresentare, come d’improvviso, nella sua esperienza personale. Così egli ci offre un saggio che è anche un prezioso frammento di autobiografia e vuole consapevolmente «confermare la sentenza di Nietzsche: essere la nostra filosofia nient’altro che il compendio delle nostre memorie». E anche delle memorie future: sicché non saremo meravigliati quando, alla fine di un capitolo, troveremo alcune parole che poi sarebbero comparse, in forma quasi uguale, nel romanzo Roma senza papa: «E in ogni caso, non dimentichiamolo: Dio non è teologo. Dio non è prete».