Fu un incontro micidiale e memorabile, quello fra la scrittura di Giorgio Manganelli e la realtà di tutti i giorni. Il fiammeggiante teorico della letteratura come essere autosufficiente e barricato in se stesso contro ogni pretesa della realtà investiva ora con temerarie incursioni ogni sorta di plaghe del mondo circostante – oltre tutto scegliendole dispettosamente fra quelle meno frequentate dalla letteratura.
Il calcio, la scuola, l’astrologia, la Chiesa, il conformismo, gli intellettuali progressisti, la caccia, la televisione, la nevrosi da traffico, il turismo di massa, il cinema, l’università, il divorzio, lo spionaggio telefonico… Ma anche: il Duomo di Milano, un congresso di appassionati della cremazione, il Corano, un trasloco, i rapporti fra sesso e politica… Si direbbe che quasi ogni luogo deputato del cicaleccio serioso venga scompigliato e scompaginato in modo irrimediabile da questi futili corsivi. Come quando lo sguardo di Manganelli, fedele erede dell’«orfano sannita», questo essere espunto dalla storia, che continua a osservarla con il puntiglio del fantasma, comincia a vagare per il Louvre – e la penna annota: «Il Louvre vuole essere tutto, e forse è veramente tutto. Lo si percorre non senza orrore, come un ospedale di mendicità, un cronicario di capolavori incurabili».
“Lunario dell’orfano sannita” fu pubblicato per la prima volta nel 1973.