Quando, nel 1928, pubblica questa esposizione dell’Ethica ordine geometrico demonstrata di Spinoza, Piero Martinetti si fa interprete di una delle figure fondamentali nella sua formazione, modello di una possibile riconciliazione della ragione con una religiosità non confessionale. L’Etica chiusa nella sua rigidezza assiomatico-deduttiva, dalla quale lo stesso Spinoza cerca a tratti di svincolarsi è una lettura ardua e complessa, che rappresenta un punto di svolta nel pensiero occidentale. Dall’anno della sua stampa (il 1677, lo stesso della morte del filosofo) è stata l’origine di percorsi molteplici e spesso contrastanti, un’opera con la quale nessuno, da Hegel a Nietzsche, da Kant a Schopenhauer, ha potuto evitare di confrontarsi. Renderla accessibile senza nulla togliere al rigore del processo speculativo o alla precisione degli assunti è per Martinetti una missione necessaria, e il suo commento si sviluppa sotto la luce di un’affinità profondamente vissuta, sempre messa alla prova dall’analisi del testo e in una costante tensione morale. Così, evidenziando la via verso la libertà attraverso la conoscenza sottesa all’argomentazione spinoziana, Martinetti giunge quasi a identificarsi con il suo autore, un mistico della ragione votato alla ricerca, se necessario solitaria, della verità.