Nel 1956, allorché diventa consulente di Livio Garzanti, il giovane Citati non può sospettare che gli verrà affidato un compito impossibile: occuparsi del più impervio, moroso, nevrotico, geniale scrittore del Novecento, Carlo Emilio Gadda. Rapidamente, Citati ne conquista la fiducia: e a questo miracoloso sodalizio dobbiamo libri come il “Pasticciaccio”, “I viaggi la morte”, “Accoppiamenti giudiziosi”. Ma alle funzioni di editor Citati ne ha ben presto aggiunte di ancor più delicate: quelle di confidente, consigliere, amico e gaddista militante – in altre parole, di “intermediario” fra l’Ingegnere e il mondo. Ne è prova il loro splendido carteggio, tutto da assaporare: rassicurato dalla dedizione e dal veemente impegno in suo favore di Citati, stimolato dalla vastità dei suoi interessi e dalla sua attività di critico, Gadda rompe gli argini, si abbandona a lettere ‘esorbitanti’ e ‘barocche’, di volta in volta eccentrici saggi, nobili poèmes en prose, irresistibili bizze. Come quella, degna di “Verso la Certosa”, in cui rievoca per Citati la sua mania di architettare mentalmente «case e ville e castelli durante le lunghe camminate dell’infanzia e dell’adolescenza sugli stradali prealpini, nelle ore d’una fuggente serenità». O quella, strepitosa, in cui sfoga la sua rabbia contro Moravia e la Morante, colpevoli di averlo «sfiancato, rintronato e vilipeso», durante una cena a Trastevere, con la loro «cornacchiante erogazione di teoremi storiografici» – ossia con le accuse mosse alle borghesie. Si capirà allora come mai Citati abbia scritto che in ogni momento della vita di Gadda sembravano convergere «il passato … il presente, il futuro, la realtà, il sogno, il tragico, il comico, la colpa, il rimorso, l’immaginazione, il gioco, la follia…».