Non è affatto strano se due sacerdoti cattolici che vivono in un paese a dominanza protestante fanno amicizia, specie se a legarli sono anche interessi artistico-intellettuali e se uno di loro – che si picca di essere un musicista di vaglia – suona ben volentieri le sue composizioni per intrattenere l’amico nelle lunghe e freddissime serate invernali. Ed è altrettanto comprensibile che i due accolgano a braccia aperte nel loro minuscolo cenacolo culturale un correligionario straniero, uno schivo studioso francese che, a quanto pare, desidera soltanto essere lasciato in pace, a scrivere. Quando poi, dopo dieci anni di frequentazione, lo straniero parte per un paese lontano, farlo ritrarre per ricordarne l’aspetto è il gesto più spontaneo e affettuoso che ci si possa attendere da un rattristato amico. Semplice. Chiaro e distinto, anzi. Perché, se l’innocua vicenda si svolge in Olanda alla metà del Seicento, lo straniero può facilmente chiamarsi René Descartes e il pittore a disposizione rischia di essere Frans Hals… Con la consueta amabilità, Steven Nadler ci guida questa volta in un insolito viaggio filosofico-culturale attraverso un periodo cruciale per la storia del pensiero, quanto straordinario per la fioritura artistica. Quadri celebri e celebri trattati – le Meditazioni metafisiche, le Passioni dell’anima, i Principi della filosofia – vedono la luce e si mescolano sullo sfondo del Secolo d’oro olandese, tra polemiche teologiche, gare musicali e la vicenda di un piccolo, controverso, ritratto…
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