Il secondo volume di Tempo e racconto dovrebbe essere letto in stretta unità col primo. Anzi l’autore avrebbe desiderato farne un unico volume. Entrambi I tomi stanno sotto il segno di un duplice obiettivo. In primo luogo tentare di superare la contrapposizione tra «spiegare» e «comprendere», spinto dalla persuasione che «spiegare di più vuol dire comprendere meglio». Contro la diffusa tendenza a separare e contrapporre scienze della natura (spiegare) e scienze dello spirito (comprendere), in questi due primi tomi Ricoeur si impegna a ristabilire un fecondo dialogo tra storia e narratività. In entrambi gli ambiti che sono rispettivamente oggetto del primo e del secondo volume, logica della spiegazione e logica della comprensione sono chiamate a integrarsi. Il secondo obiettivo è di spessore ontologico. Già ne La metafora viva , Ricoeur affrontava il problema della legittimità di un «verità metaforica». Allora si trattava di restituire la metafora al mondo—scoprendone la referenza al reale—e in tal modo riscoprire il mondo come abitabile, quel mondo che abitiamo poeticamente. Analogamente in questi due tomi: la riscoperta del raccontare ha come correlato ontologico il tempo ritrovato. Gli «intrighi» narrativi sono il mezzo privilegiato mediante il quale noi riconfiguriamo la nostra esperienza temporale confusa e, al limite, muta. Nel solco della famosa affermazione di Benjamin, «Non si racconta più perché non c’è più un’esperienza da condividere», Ricoeur esplora quell’intreccio di sorpresa e di ordine che è al fondo di ogni attività narrativa.
Grazie a Emiliano per questa scansione.
Grazie!