«Chiunque abbia letto qualche pagina di Nietzsche si è sentito scandagliare in profondità, si è sentito provocato a dare il proprio assenso su una questione scottante: alcuni non perdonano questa invadenza, altri rimuovono l’impressione, altri reagiscono con ardente partecipazione»: così scriveva Giorgio Colli nel presentare quella edizione critica di Nietzsche, da lui approntata insieme a Mazzino Montinari, che ha permesso di leggere migliaia di pagine inedite e di svelare una volta per tutte le falsificazioni subite da quei testi. Colli si è esposto per tutta la sua vita allo «scandaglio» nietzscheano: nel suo paesaggio del pensiero gli ultimi, fra i pochi, che avevano risposto alla sfida dei sapienti della Grecia arcaica erano Schopenhauer e Nietzsche. In questi scritti lo vediamo seguire fin nei più minuti segmenti la frastagliata sequenza delle opere di Nietzsche, soppesarle ogni volta in ciò che di inaudito introducevano così come nei ripiegamenti che testimoniavano, accompagnarle tra euforie e depressioni, azzardi teoretici e furie immoralistiche, scorribande letterarie e squarci di vaticinio. Parla qui un’assoluta intimità con quel pensiero – e insieme la distanza che permette di giudicarne i passaggi dal punto di osservazione di un altro pensiero: quello di Colli stesso, che è destinato a stagliarsi sempre più nettamente nella sua solitaria grandezza. E proprio in questa compresenza, nel commentatore, di «ardente partecipazione» e del «pathos della distanza» riconosciamo un tratto profondamente congeniale all’autore commentato. In tutta la sterminata bibliografia nietzscheana sarebbe difficile trovare una serie di scritti che costituiscano una migliore ‘introduzione’ a Nietzsche.
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