«Non siamo realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità» leggiamo già alle prime righe di questo libro. E subito ci coglie quel senso di lieve ebbrezza e di vertigine che accompagna ogni lettura di Cioran. Subito sappiamo di trovarci di fronte a qualcuno che non si identifica né con l’uomo, né con la specie, né con una causa qualsivoglia – e neppure con se stesso. Come se una felice e insanabile divaricazione separasse il soggetto che parla da ogni credulità, ma al tempo stesso gli concedesse il respiro di chi sa riconoscere – e anche abbandonare – tutti i fantasmi e tutti gli dèi. Pubblicato nel 1964, La caduta nel tempo è uno dei libri di Cioran che mostrano con maggiore evidenza come il suo pensiero fosse proiettato in avanti, verso temi che appaiono oggi ancora più urgenti. Si parla dell’albero della vita, della civiltà, dello scetticismo, della barbarie, della gloria, della malattia, come in una sequenza di meditazioni segretamente collegate. Il percorso è sempre obliquo, ed evita così la pedanteria e la pesantezza di un approccio frontale a temi inesauribili ed elusivi. Primo fra tutti il tempo, e quella «caduta nel tempo» che costituisce la Storia – mentre già si profila, allarmante ed enigmatica, un’altra caduta: dal tempo, e dunque dalla Storia.