L’americano più triste del mondo visto su un marciapiede di Città del Messico e l’ultimo pomeriggio passato con lui. Un avvocato argentino, nel pieno della crisi finanziaria del suo paese, si riconverte in impossibile gaucho della pampa, sperando forse di fermare il tempo del declino, o più probabilmente credendo nell’eterno ritorno. L’inchiesta di un detective su un killer seriale nel mondo dei topi di fogna, sulla falsariga ironica di Kafka o seguendone alla lontana una malinconica citazione. Un mansueto scrittore argentino, inopinatamente baciato dal successo, a Parigi cerca il regista che nei suoi film lo anticipa o lo plagia e trova una strana felicità. Un adolescente e un assassino dominati dalla religione. Cinque racconti seguiti da due conferenze: una, di radicale pessimismo e incantevole nostalgia, sul sesso, i libri e il viaggiare, le tre inutili passioni dominanti; e la seconda, polemica e iconoclasta, sulla leggibilità come categoria di giudizio supremamente futile in letteratura: “una letteratura non vale niente se non è accompagnata da qualcosa di più del mero atto di sopravvivere”. In questo ultimo libro pubblicato da Bolaño, prima della morte prematura, forse più che altrove si percepisce compiutamente l’esattezza di una definizione: “il malizioso erede di Borges. E l’eredità consiste nel rovistare in esperienze banalissime, segnate da una vena di bizzaria, elevandole ad avventure movimentate, cercando verità che nessuno trova o in cui nessuno crede.